Giuseppe Borrello è un artista che ha approfondito la
sua ricerca sulla figuratività classica, nella quale esercita una
manualità meticolosa e, non per modo di dire, in punta di penna.
Esaminare il suo percorso significa dunque cercare di comprendere meglio
la sua propensione e il suo gusto per la figura umana, che egli
tratteggia con la precisione e la pazienza infinita di un antico
miniaturista, rivolgendosi soprattutto alla bellezza del volto femminile
(fig.1) e della fragilità infantile. Coraggiosamente anomalo nel
panorama attuale dell' arte, Borrello dimostra le ottime ragioni di una
scelta tutt'altro che facile, perseguita con un ardore insolito, e
mirando a una resa visiva dl grande forza suggestiva. Egli proviene con
evidenza dalla lezione del Novecento, ossia da quel momento magico di
ritorno all'ordine della cultura italiana, quando i valori figurali e
plastici erano stati riscoperti in contrasto con le avanguardie più
dirompenti, e nel recupero della lezione estetica e formale della nostra
antichità. Accolto questo insegnamento, lo ha rifatto suo recuperando la
felicità di rapporto con un'arte appagante e difficile, alla quale si
può accedere solo con lo studio e l’affinamento di doti artistiche
innate e ormai, purtroppo, rarissime. Borrello ha scelto di vivere lo
spazio chiuso del suo atelier, e di credere a pochi ma sicuri elementi
visivi. La sua verità interiore lo porta a cercare la bellezza nel
segreto di uno sguardo, nel fremito controllato di una bocca, nel
movimento naturale di una ciocca di capelli (fig.2). La
riconoscibilità del reale è per lui elemento compositivo ineludibile per
raccontare la sua visone del mondo, e per stabilire l'armonia e
l'equilibrio delle forme e dei volumi. Meraviglia l'uso sapiente che
questo artista fa della penna e delle punte metalliche, mezzi che, per
loro natura, non consentono ripensamenti e che costituiscono quindi il
definitivo risultato di una contemplazione attenta al soggetto da
raffigurare e di una progettazione lungamente elaborata. Alieno al gioco
delle apparenze o delle illusioni, anche gli spazi che egli costruisce
intorno alle sue immagini, rientrano nelle dimensioni della realtà.
Operando con intelligenza, il suo tratteggio tende alla
cristallizzazione della forma, a cui conferisce un'oggettività quasi
asettica. Per altro, l'immissione dei dati figurali nella composizione
assume valenze psicologiche tutt'altro che scontate, dove l'assenza di
enfasi definisce precisi dati caratteriali e situazioni ben motivate. I
suoi ritratti sono quindi costrutti analitici, nei quali vibrano
temperature esistenziali tenute sotto controllo dal pudore dei
sentimenti. Non è incongruo, a questo punto, citare Annigoni come figura
maestra di riferimento, anche se poi risulta del tutto personale il
gusto scenografico che Borrello mette in luce, quando compone un'opera
complessa e rischiosa come La strage degli innocenti (fig.3). Si
tratta di una trasposizione allegorica di taglio rinascimentale,
eseguita a penna biro monocroma, dove le fughe prospettiche, focalizzate
da un'ombra nera a forma di croce sull'impiantito di un cortile di
sapore metafisico, rispondono a leggi costruttive classiche. Le presenze
scultoree dei guerrieri alludono a una violenza fredda, dove è stata
esclusa la presenza del sangue. Le figure infantili sono drammatiche e
contorte, come le posture delle donne indifese e disperate. Le qualità
compositive di quest'opera non contraddicono certo la serena bellezza
dei ritratti appena citati, e tuttavia aprono lo spazio a nuove
interrogazioni sulle motivazioni più nascoste di questo maestro del
segno. da "I GIUDIZI DI SGARBI 99 artisti dai cataloghi d'arte moderna e dintorni" - Editoriale Giorgio Mondadori - Milano 2005
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Fig.1."La Greca" 1992 penna biro monocroma cm 18,2 x 25,4
Fig.2. "Carmelina" 2001-Penna biro policrima cm 25 x 33
Fig.3.La strage degli innocenti 1990 - penna biro monocroma - cm 102 x 73
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