La mostra personale del pittore calabrese, da tempo attivo a Torino, Giuseppe Borrello nella nostra città merita, già a prima vista, un particolare cenno di encomio: l’artista espone, nello spazio di via Beltrami della galleria “Immagini Spazio Arte”, una compatta serie di ritratti ed alcune grandi scene, il cui carattere peculiare è il rigore unitario della poetica. Già questo è dato non sempre frequente, ma che denota una linearità delle scelte estetiche ed un’intima coerenza delle risoluzioni stilistiche. L’opera intera di Borrello si colloca nel solco della pittura figurativa che, fin dalla seconda metà del Novecento, si è fatta carico di ridonare smalto e contemporaneità alla visione realistica del mondo. Il legame alla tradizione figurativa, in particolare a quella che dal Cinquecento conduce al secondo quarto dell’Ottocento, costituisce il radicamento estetico del pittore che vi si confronta idealmente e vi si riconosce. Il segno che limita la forma e la definisce in rapporto allo spazio ed alla luce, il segno che si rende acuminato veicolo della verità: questo sembra essere l’ideale dei disegni di Giuseppe Borrello. Disegni? Pitture a monocromo, in realtà, raffinate sintesi figurali di cui fa da supporto una tecnica preziosa che amalgama in una complessa ricchezza lessicale gli svariati istantanei accenti di una perfetta analisi. Punto dopo punto, tratto dopo tratto, utilizzando antichi materiali (la grafite, la punta d’argento, l’oro in foglia...) come i moderni (la penna biro...) con uguale fantasia e rigore, l’artista (questo termine abusato mi pare che si convenga a buon titolo a chi, con sapienza e rispetto, usa i segreti di un mestiere antico conservandone, anzi, accrescendone la dignità) costruisce, attraverso immagini che ritraggono diverse realtà in essere, umane, animali, oggettuali, un percorso volto a coglierne, al di là del volto della materia, l’intima vitalità, il soffio di un vero che si staglia, statico ed immoto, per un attimo sospeso nel fluire del divenire. Sensibile ad ogni variazione chiaroscurale, sia nel complesso lavoro su un solo accento cromatico, declinato tuttavia, in infinite variazioni tonali fino ad un intrigante cangiantismo chiaroscurale, sia quando la tavolozza intera appare a sorprendere l’osservatore ignaro, forse, delle possibilità offerte dai moderni ritrovati tecnici, Borrello trova nel ritratto il genere più consono ad una vena narrativa che sa cogliere la bellezza del segno naturale per farne oggetto di perfetto segno artistico. Tuttavia, la vena aulica di una cultura ispirata al mondo classico e antico, lo spinge a cimentarsi con scene complesse, in cui l’impianto narrativo abbisogna di apporti molteplici, ben risolti, comunque, sia nella sintassi compositiva ariosa e severa sia nelle tecniche che ribadiscono la duttilità, rigorosamente sistematica, di una pittura disegnativa dalle forti implicazioni formali. L’egregia rassegna di Giuseppe Borrello sarà visitabile fino al prossimo 14 aprile, in essa tra le altre opere a tema sacro, figura un “Volto della Santa Sindone”, tema di particolare efficacia, trattato con fine sensibilità, ed assolutamente attuale in questa vigilia pasquale di inizio secolo.
Da: IL GIORNO: La Cronaca di Cremona n. 97 del 8 aprile 2001 Tiziana Cordani
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