Quando il disegno diventa pittura


   Nel bel mezzo di una stagione culturale caratterizzata in ogni settore da un diffuso produttivismo convenzionale, ecco finalmente un’autentica novità nel campo dell’arte figurativa contemporanea. L’ha sviluppata, tra pause di rifles­sione alternate a periodi di impegno quasi affannoso, un “pittore grafico” italiano puntualmente citato da oltre un decennio in vari annuari e libri d’arte, ma schivo e riservato (e perciò noto solo a una ristretta cerchia di raffinati collezionisti e di più attenti addetti ai lavori), sulla cui singolare opera in passato si è tuttavia svolto un convegno di studi che ha raccolto, tra gli altri, anche il consenso del Presidente della Repubblica, presente per l’occasione con un messaggio augurale.

   L’innovazione introdotta da questo artista sul filone di una ricerca ispirata ai grandi maestri del Rinascimento consiste in una difficile e minuziosa tecnica disegnativa, da orafo, che permette di dipingere sostituendo ai consueti pennelli tradizionali del pittore... semplici penne a sfera, con risultati a dir poco sorprendenti. Infatti, utilizzando le penne biro nello stesso modo in cui Pisa-nello, Botticelli, Leonardo e altri noti artisti del passato impiegavano particolari penne dotate di sottilissime punte metalliche (generalmente d’argento) quali elementi traccianti per disegnare in maniera magistrale sopra speciali fogli di carta appositamente preparata, con tale nuova tecnica, invece dei soliti ben evidenti e monotoni segni filiformi tipici delle penne a sfera, quest’artista riesce ora a ottenere morbidi contorni e plastici effetti chiaroscurali - monocromatici o policromi - del tutto equivalenti, quando non superiori, a quelli normalmente prodotti con le altre tecniche pittoriche gia note (olio, tempera, ecc.).

   L’ideatore di questa novità nel campo dell’arte figurativa, caratterizzata fondamentalmente dall’uso esclusivo e finora impensato delle penne a sfera, cioè uno strumento grafico, per produrre - senza alcun ricorso a diluenti, pennelli o sfumini - un nuovo genere di originali dipinti nei quali risultano sorprendentemente fusi tradizione classica e stile moderno, si chiama Giuseppe Borrello.

   Personaggio eclettico, sempre assillato da un’insaziabile voglia di perfezionare l’esistente che lo spinge a operare senza posa alla ricerca di nuovi effetti formali (la terza dimensione, nei dipinti a biro; l’impiego di pochi colori puri per ottenere un forte impatto visivo, nei dipinti a olio; l’introduzione dell’oro, del palladio e del platino, nei suoi dipinti metallici, per ottenere immagini più raffinate e preziose...), Borrello risulta da tempo quale unico artista conosciuto che usa un particolare tratto con penna biro che, in effetti, l’ha già portato a collezionare successi di critica e pubblico, in Italia e all’estero.

   Studiando a fondo, per oltre un ventennio, la grande lezione del disegno e della pittura attraverso i secoli; considerando, come certamente faceva lo Zuccari, che “il disegno è padre e figlio della pittura”; soprattutto ostinandosi ad attribuire un significato implicito, ovvio e letterale, alla deduzione del Vasari: “... essendo il dipingere disegnare; l’artista ha dunque condotto una costante e geniale ricerca, nel tentativo - ormai pienamente riuscito - di fare coincidere la gestualità del pittore con quella del disegnatore, e di trasferire quindi la forza espressiva del disegno in una nuova forma di arte figurativa, nella quale l’estrema minuziosità descrittiva del tratto possa fondersi del tutto con la forza viscerale propria dell’immagine pittorica. E’ nata cosi la “pittura a biro”, costituita da una serie di innumerevoli, invisibili segni accostati fittamente l’uno all’altro, senza soluzione di continuità, in modo da rivestire la superficie del foglio per riflettere la luce, penetrare le trasparenze, accogliere le ombre, in un mondo di nuove, accattivanti figure che sembrano plasmate in un’eterea materia concreta dotata di inusitata intensità espressiva che, non solo modifica, ma addirittura rivoluziona la sostanza del disegno che la costituisce, proprio per le particolari caratteristiche pittoriche che essa assume; per cui le immagini cosi ottenute si differenziano da quelle prodotte nor-malmente con le tecniche tradizionali, sia per il tipico ed esclusivo impatto visivo determinato dalla minuta e compatta giustapposizione delle linee modulate (quanto a spessore e densità) da cui esse traggono corpo e sostanza, sia per l’arricchimento e la vivacità dei colori carichi di iridescenze che le caratterizzano, sia per l’altissimo potere di “risoluzione ottica” di cui sono dotate, che ne permette un’ottima e, anzi, migliore fruizione visiva (al contrario di quanto avviene nel caso dei dipinti tradizionali) anche a distanze molto ravvicinate, con un’eccezionale “effetto presenza” dei più minuti dettagli in esse contenuti.

   In realtà, la penna è uno strumento grafico di cui gli artisti di ogni epoca si sono avvalsi. Ma, poiché non ammette cancellature e lascia evidenti tracce uniformi, il suo impiego è rimasto confinato finora per lo più alla realizzazione di bozzetti e di immagini tratteggiate. In ogni caso, il suo uso ri-chiede una grande capacità progettuale e un’estrema precisione nell’eseguire l’opera. Ed è perciò che la pittura a biro è considerata tecnica molto impegnativa e di altissimo livello; in quanto ogni volta il pittore deve sapere riprodurre, dopo averlo visualizzato e analizzato mentalmente, il percorso modulato dei tratti contigui (tracciati sul foglio senza commettere il minimo errore e per di più in maniera non evidente, pena la perdita dell’opera!), necessari per ottenere al termine l’imma-gine finita dei dipinti. Perciò, per dirla con Ingres, in questo caso la cosa più ardua “sta nella capacità dell’artista di pensare tutto intero il quadro, nell’averlo per così dire tutto intero in mente, per poterlo dipingere di seguito con calore e come di getto”.

   Questo nuovo genere di arte figurativa, che Borrello non ha comprensibilmente voluto divulgare durante la sua lunga fase di gestazione sperimentale, esige quindi un’impegnativa e laboriosa applicazione, anche per opere di piccole dimensioni. Inoltre, esso propone un diverso modo di concepire l’opera del “pittore” e una duplice innovazione di metodologia disegnativa, con l’introdu-zione nel nobile universo della pittura di un felice, nuovo impiego di penne e inchiostri, frutto dell’odierna tecnologia industriale, destinati finora - come si è detto - esclusivamente alla scrittura, o alla tracciatura di disegni geometrici e “schizzi” dalle linee ben evidenti.

   Pertanto, ponendosi come anello di congiunzione tra una ben nota e antichissima forma d’arte figurativa (il disegno) e l’affacciarsi di strumenti moderni (le penne a sfera) e di nuovi metodi di lavoro (dipingere disegnando), la pittura a biro interpreta pienamente lo spirito del progresso nel campo del­la ricerca di linguaggi espressivi e cul­turalmente motivati sui quali impostare nuove esperienze profondamente legate alla grande tradizione secolare dell’arte italiana e all’idea del fare con sempre maggiore efficacia e con risultati qualitativamente sempre più elevati. E’ appunto per questo che, quale frutto di un’ulteriore sintesi innovativa tra tecnica ed espressione, grazie alla propria sorprendente specificità essa appare destinata non solo a occupare una posizione ben distinta nel vasto e variegato panorama degli sperimentalismi pittorici attualmente noti, ma altresì a lasciare nelle cronache di fine secolo una fertile traccia dell’indubbio talento di un sagace disegnatore italiano che, proprio sulla scia dei fermenti che hanno sempre contraddistinto l’arte del passato (soprattutto quella rinascimentale e post-rinascimentale), ha saputo sviluppare una simile proposta, ardita e originale, esclusivamente all’insegna di autentiche prospettive di ricercata modernità.

 

 

   Marzo 1995 -  rivista d’Arte “ambiente Arte” n° 3                                                                                Donat Conenna