Una vita intorno a una  “sfera”.

         Giuseppe Borrello tra nudi, ritratti e paesaggi.


     Suo padre, scultore, vive in Colombia, suo zio è un affermato pittore venezuelano, ma Giuseppe Borrello ha sempre rifiutato i loro inviti di andare a lavorare in America perché, afferma, in Italia sono le sue radici. I primi dipinti, a soggetto religioso, gli sono stati commissionati quando aveva 14 anni, per alcune chiese calabresi, e fin da allora nella zona di Cosenza era conosciuto come un enfant prodige della ritrattistica. Il più alto riconoscimento della sua carriera Giuseppe Borrello l’ha però ricevuto nel 1992 quando papa Giovanni Paolo II ha accettato in dono da lui un suo ritratto a colori, che ora si trova in Vaticano. Fin qui la cronaca di una avventura artistica cominciata precocemente ma che si segnala per un aspetto assai più singolare: infatti Giuseppe Borrello dipinge con la penna a sfera.

   Borrello, 43 anni, sposato con un’insegnante, padre di tre figlie, è nato a Sant’Agata di Esaro, Cosenza, ma si è trasferito in Piemonte dopo essersi diplomato all’Accademia di belle arti di Napoli, aver studiato a lungo in Toscana i maestri del rinascimento ed essersi occupato di restauro e incisione.

Dal 1967 lavora ad affinare questa sua personale, inconsueta, tecnica pittorica, in una ricerca che ha assorbito ogni altro suo interesse artistico e che lo ha portato a collezionare mostre e premi, in Italia e all’estero.

   Per la meccanica uniformità del segno, la biro non è mai stata considerata una tecnica espressiva autonoma; è un mezzo per lo più ignorato in pittura, anche perché l’inchiostro dei primi modelli, talora oleoso, non consentiva di controllare la nitidezza del segno. La possibilità di eseguire ge-stualmente l’immagine, come in pittura, ha però conferito talvolta a questa tecnica valore specificamente artistico. E’ il caso di Alighiero Boetti (Torino 1940) che usa la biro blu o colorata per gli sfondi delle sue opere su carta a più pannelli, e di alcuni artisti brut che se ne sono serviti perché i ghirigori della sfera bene si prestavano a esprimere la loro poetica visionaria. Borrello invece è un convinto assertore dell’idea rinascimentale del disegno come suprema forma della pittura. A questo proposito ama citare l’affermazione di Giorgio Vasari essendo il dipingere disegnare, affermazione che ha fatto propria, giungendo a creare una fusione tra pittura e disegno che ha battezzato pittura a biro. Ispirandosi alla lontana ai principi ottici del divisionismo, l’artista, che lavora sempre a occhio nudo, cioè senza l’aiuto di lenti d’ingrandimento, e dipinge su tavole di cartone Schoeller di dimensioni generalmente attorno ai cm 30x40, talvolta anche 70x100, utilizza i sottili tratti di penna a sfera nera, blu e colorata per riprodurre virtuosisticamente lo sfumato monocromo o l’impasto cromatico dell’olio. Con un segno realista, a tratti fittissimi accostati, compiaciuto nella resa perfezionistica dei dettagli e grande effetto plastico, Borrello si dedica a nudi, paesaggi e ritratti, genere quest’ultimo da lui prediletto: dalla testa di carattere all’effigie di personaggi illustri, dalle figlie, a papa Wojtyla, a Mario Soldati, sostenuto da profonda forza espressiva e abilità di segno.

   Rivista “ARTE” Mondadori n° 243 settembre 1993                                                                         Grazia Ambrosio